I limiti che sperimentiamo...
...sono un'occasione per fermarsi, riflettere e conoscersi di più.
Il termine “limite” fa pensare a qualcosa che non consente di andare avanti nel proprio percorso; che si tratti di un lavoro, un hobby, una relazione. Si prova una sensazione di freno, di impedimento, che fa sprofondare in un mare di sofferenza.
Nonostante l’impegno e gli sforzi, c’è qualcosa che trattiene.
I limiti più “pericolosi” sono quelli che nascono dentro la nostra mente, spesso legati alla paura, alla bassa autostima e alla scarsa fiducia nelle nostre capacità.
Le prime limitazioni sono sperimentate nell’infanzia. I genitori, cercando di preservare i figli dai pericoli, pongono limiti ovunque, anche quando non c’è bisogno, mettendoli sotto un’immaginaria campana di vetro.
Tanti limiti e pochi incoraggiamenti.
Ovviamente ci sono pericoli di varia natura e genere. Situazioni di reale pericolo devono essere tenuti in forte considerazione e devono essere presentati come tali.
Se un genitore è particolarmente apprensivo, può creare o cercare un ambiente sicuro e lasciare che il bambino sperimenti in tutta tranquillità. Può esplorare l’ambiente insieme al figlio, fare esperienza insieme a lui, mostrando quali sono i veri pericoli.
Molti genitori trasmettono ai figli limiti e paure, che a loro volta, da bambini, non sono stati in grado di affrontare e superare.
Quando una persona si trova faccia a faccia con i propri limiti? Soltanto nell’esperienza concreta, tangibile e reale.
In molti adulti, i limiti si sono talmente radicati dentro la loro mente che “vivono a metà”, hanno paura di oltrepassare quel limite. Il limite si è trasformato in una gabbia dorata sicura che non consente di vivere la libertà.
I limiti sono un’occasione per fermarsi, riflettere e conoscersi di più.
<<Una paziente descrisse la sensazione di essere un gatto selvatico in una gabbia con la porta aperta. Riusciva a vedere come, le vecchie forme intorno alle quali organizzava l’esperienza e le relazioni, la limitassero, e avvertiva la possibilità di uscire per avere più libertà. Eppure la gabbia le forniva una sicurezza alla quale era difficile rinunciare, per quanto fosse illusoria. Camminava avanti e indietro, si sentiva forte e padrona di sé. Non sarebbe stata in grado di uscire finché non avesse sentito che andarsene non sarebbe stato un salto nel vuoto, finché non fosse riuscita a convincersi che oltre la porta della gabbia c’era un terreno solido e non l’abisso>>. W.R.D. Fairbairn in L’esperienza della psicoanalisi.
[Fonte testo: Massimiliano Briganti, educatore e psicomotricista funzionale]
[Fonte immagine: http://www.forbes.com/ ]