Il timore di uscire da casa ha un nome
Sindrome della capanna
Durante la pandemia tutti abbiamo sperimentato la fastidiosa limitazione della libertà di uscire e di frequentare gli altri. Per un buon periodo ci siamo dovuti abituare a svolgere le varie consuetudini giornaliere tra le mura di casa e a reinventare il personale modo di vivere.
La propria abitazione era rimasta l’unico spazio per difenderci da quel nemico invisibile che ha condizionato la nostra esistenza.
Gli studiosi nell’ambito della psicologia hanno dato un nome al malessere che lentamente ha iniziato ad insinuarsi fra noi, ossia Sindrome della capanna, proprio come timore di uscire da casa. Secondo le martellanti notizie pareva quasi che il solo mettere il naso fuori potesse contagiare.
Certo la tecnologia ha svolto un ruolo primario, ci ha permesso di restare comunque in contatto con amici, parenti. Ha consentito di continuare a studiare, lavorare.
Sappiamo che l’essere umano viene definito “animale sociale” poiché la connessione, la relazione fra persone è un bisogno essenziale per la sopravvivenza. Studi e ricerche hanno più volte sottolineato che l’isolamento prolungato provoca un’accelerazione dell’invecchiamento cerebrale.
Passati alcuni anni da questa brutta esperienza stiamo riprendendo le buone abitudini. Sempre più siti di informazione ci incoraggiano a trascorrere più tempo all’aria aperta, a privilegiare i contatti in presenza e a ritrovare il giusto equilibrio fra il mondo virtuale e quello reale.
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