Sindrome di Stoccolma
Un particolare stato psicologico
Talvolta citata dai mass media o accennata in relazione a fatti di cronaca, la Sindrome di Stoccolma desta molte curiosità.
Quando una persona ha subìto episodi di abusi fisici, violenza verbale o psicologica, come ad esempio nel caso di un sequestro o l’appartenenza a sette, sviluppa un particolare stato d’essere, che viene chiamato appunto Sindrome di Stoccolma.
La vittima tenuta prigioniera o in ostaggio per lungo periodo di tempo, è come se fosse sottoposta ad una sorta di lavaggio del cervello. Si lascia convincere che nessuno dei suoi cari si interesserà a lei, soltanto il carnefice è in grado di provvedere alla sua cura.
Sviluppa un paradossale sentimento positivo che si manifesta con atti di amore o sottomissione volontaria, nonché alleanza e solidarietà con l’aggressore. La vittima vive una situazione particolarmente stressante, diventa dipendente da chi la tiene in ostaggio, arrivando addirittura a tollerare le violenze subite.
Per gli specialisti questo tipo di sentimento non è altro che un meccanismo di difesa, legato all’istinto di sopravvivenza. Sorge dall’inconscio come reazione emotiva automatica.
Non viene considerata una vera e propria patologia, non è codificata in alcun manuale diagnostico, è quindi inserita nella Sindrome da Stress Post Traumatico e può avere una durata di diversi anni. I sintomi manifesti sono: disturbi del sonno, fobie, incubi notturni e depressione.
In questo caso un percorso di psicoterapia è assolutamente indicata e necessaria per cercare di rielaborare l’esperienza traumatica vissuta, capire i meccanismi che hanno portato la vittima alla manifestazione dei sentimenti verso il carnefice.
[Fonte testo: Manuale di Criminologia Clinica. di M. Strano]